Posso non pagare un lavoro fatto male?

Se pensi che il lavoro che hai commissionato non è fatto bene  ti starai chiedendo se Posso non pagare un lavoro fatto male?

Il rifiuto di pagare un lavoro fatto male cosa comporta?

Quali sono le possibilità di contestazione del lavoro non eseguito a regola d’arte? Vi sono dei termini limite per denunciare un lavoro fatto male?

La contestazione di inadempimento contrattuale quando comporta la risoluzione del contratto e in tale ipotesi ho la possibilità di chiedere il risarcimento dei danni?

Che differenza c’è tra inadempimento contrattuale essenziale ed un inadempimento non grave?.

Chi stabilisce se l’inadempimento è essenziale per la risoluzione del contratto o meno?

Fare chiarezza su questi dubbi può aiutarci a rispondere alla prima domanda: Posso non pagare il lavoro fatto male?

Quali garanzie di legge vi sono?

Vediamo quali garanzie di legge ha chi compra qualcosa o richiede ad un’impresa l’esecuzione di un lavoro.

La prima garanzia o regola (non scritta) migliore , che bisogna crearsi, è quella di pagare solo a prestazione eseguita.

Chi sceglie di pagare in anticipo si grava evidentemente del rischio di inadempimento della sua controparte e dal quale solo un giudice può eventualmente aiutarlo.

Proviamo a risolvere la questione per punti in questo articolo, continua a leggere.

Quando si afferma «non pago un lavoro fatto male» giuridicamente si traduce in chiedo la «risoluzione del contratto per inadempimento».

In altre parole significa che chiedo di scioglie il contratto perché non mi è stato dato quanto mi era stato promesso, e dunque libero la controparte dall’obbligo di fornire la prestazione per la quale ci eravamo accordati.

Se l’impresa non ha fatto nessun proprio nessun lavoro, risulterà facile applicare questo principio. In tale ipotesi, si può anche chiedere il risarcimento del danno per l’inadempimento, a patto però di dimostrare un danno economico.

Quando l’opera non è compiuta, la risoluzione del contratto è dunque una conseguenza logica e scontata che spesso non dovrebbe neppure richiedere l’intervento del giudice.

In tale caso si può quindi tranquillamente non pagare il prezzo pattuito o meno che fosse.

Se il lavoro è stato fatto, ma non bene posso non pagare?

Quando la prestazione viene resa tutta o in parte, cioè il lavoro viene consegnato, ma se ne contesta la qualità ovvero la presenza di vizi e difetti costruttivi, il tutto al fine di ottenere lo “scioglimento” del contratto (ndr la risoluzione) che implica di non pagare quanto richiesto, magari, con una fattura gonfiata, chi non intende pagare ha l’onere di dover dimostrare che vi è stato un inadempimento essenziale ovvero fondamentale.

Rifiutarsi di pagare la ristrutturazione di un appartamento perché l’impresa ha tinteggiato male una stanza o perché la porta ha un graffio: si tratta, di vizi e difetti non trascurabili nel complesso della prestazione e che, pertanto, non incidono sul fatto che il lavoro è stato comunque stato svolto.

Posso non pagare un lavoro fatto male?

Posso non pagare un lavoro fatto male?: L’onere di provare che i lavori sono fatti male spetta al committente che può chiedere una perizia tecnica per dimostrarlo.

L’entità dei difetti può tutt’al più influire sul prezzo da corrispondere e si potrà chiedere una riduzione proporzionata del prezzo.

Diverso è se invece ho delle infiltrazioni d’acqua dal terrazzo o dal tetto, se i muri sono storti o se non funziona l’impianto di riscaldamento.

Nei casi in cui l’inadempimento non rende servibile l’oggetto o ne compromette comunque la normale usabilità/fruibilità l’inadempienza può ritenersi quindi “essenziale” e sufficiente per richiedere la risoluzione del contratto.

L’inadempimento essenziale di una prestazione è come se rendesse il lavoro svolto non adatto all’uso concordato è dunque come se neppure fosse stato fatto.

In tutti questi casi, quindi, si può ugualmente chiedere la risoluzione del contratto e non pagare come se il lavoro non fosse neppure mai stato fatto.

Dunque riepilogando le ipotesi per cui Posso non pagare il lavoro fatto male sono:

  1. il lavoro non è stato fatto per nulla
  2. l’inadempimento contrattuale è essenziale (cioè “grave”) tanto che il lavoro è inservibile, si può sciogliere il contratto e non corrispondere il prezzo concordato;
  3. se l’inadempimento è minimo, quasi impercepibile, non si può fare nulla e bisogna pagare;
  4. l’inadempimento non è grave, ovvero non essenziale, ma comunque ha un suo peso rendendo il lavoro fatto male parzialmente inservibile, si può chiedere una riduzione del prezzo.

Chi stabilisce se l’inadempimento contrattuale è essenziale o meno?

Le principali obiezioni sorgono in merito alla gravità dell’inadempimento contrattuale ovvero si finisce a discutere se i vizi e difetti costruttivi possono considerarsi gravi o meno.

È ovvio che il committente, dovendo pagare, esigerà che l’opera non presenti alcuna sbavatura o difetto mentre chi ha fatto il lavoro tenderà a minimizzare e ad essere indulgente sui propri errori. Chi dei due può aver ragione?

A stabilire in via definitiva se l’inadempimento è grave (essenziale) o meno è certamente il giudice nel caso in cui le parti non si mettono d’accordo prima di adire le vie legali.

Va però ricordato che l’onere di provare la gravità del vizio e difetto costruttivo; cioè di provare che il lavoro è fatto male, non a regola d’arte spetta al committente.

È dunque bene farsi fare una perizia tecnica che dimostri in maniera il più oggettiva possibile quali sono i difetti e vizi che rendono il lavoro non eseguito bene. Perizia tecnica che potrà anche valutare i danni patiti ed eventualmente il minor valore dell’opera.

 

Come evitare la causa? Ecco comunque alcune soluzioni:

  1. la prima è quella di regolamentare le condizioni della prestazione e la qualità richiesta già nel contratto; magari redigendo un capitolato prestazionale, specificando in esso cosa si riterrà “inadempimento grave” e cosa no. In questa ipotesi è già predeterminato quando si può parlare di inadempimento grave o meno;
  2. la seconda è quella di farsi fare una perizia di parte per poi richiedere una perizia tecnica congiunta con un consulente tecnico nominato dalla vostra controparte. Tecnici che avranno il compito di trovare una soluzione sulla base di valutazioni prettamente tecniche;
  3. altra ipotesi è quella di nominare un terzo imparziale che stimi l’opera prestata e valuti se questa è davvero conforme all’uso o presenti vizi e difetti costruttivi. La sua relazione costituirà un contratto che le parti firmeranno. Il terzo potrà essere un arbitro nominato di comune accordo oppure meglio e meno costoso ci si può incontrare assieme al proprio consulente di parte e all’avvocato, con impressale ed i suoi legali e tecnici presso un organismo di mediazione per tentare di trovare un accordo tra le parti senza andare in Tribunale.

Tempi per contestare un lavoro fatto male

Quando la prestazione riguarda la mera consegna di un prodotto e l’acquirente è intervenuto in veste di consumatore privato (ossia senza una partita Iva); per contestare il vizio del prodotto/fornitura è necessario fare una “denuncia” al venditore entro due mesi da quando il difetto è stato riscontrato. Se si va oltre non si può più procedere con una causa di risarcimento.

Se invece si tratta di un lavoro edile, come ad esempio una ristrutturazione di casa o l’edificazione di un garage, di un bagno o di un tetto ecc.. , valgono le regole sulla responsabilità dell’appaltatore.

In pratica, per i vizi di minor conto ci sono 60 giorni per la contestazione e due anni successivi per fare causa; per i vizi invece strutturali c’è un anno per la contestazione e un ulteriore anno per la causa dal momento in cui si scoprono.

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